“Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo”: mai citazione di un film fu più azzeccata, soprattutto quando parliamo di cambiamento climatico e, più in generale, di tutti gli effetti che il nostro comportamento ha sull’intero Pianeta. Ecco dunque che due foreste, quella Amazzonica e quella del Cansiglio, geograficamente così distanti, si rivelano invece più vicine di quanto si creda… Lo sa bene l’Associazione “Il mondo di Tommaso”, che promuove un “viaggio di conoscenza” dei popoli nativi della foresta amazzonica, in particolare degli Indios Yanomami, per i quali è in atto un atroce genocidio. Nasce da questo presupposto “Effetto farfalla”, progetto in difesa degli Indios, nato per custodire la più grande foresta pluviale del mondo, il luogo più straordinario e importante per la tutela della vita sulla terra. Tra i suoi sostenitori, Toio De Savorgnani (scrittore, ambientalista e scalatore), Raffaele Luise (giornalista e scrittore) e Michele Boato (scrittore e Direttore dell’EcoIstituto Langer del Veneto) cui abbiamo affidato gli approfondimenti che trovate in queste pagine.
Tre interventi che affrontano l’argomento da tre prospettive differenti, accomunate da una stessa consapevolezza: salvaguardare la foresta, e i suoi abitanti, è fondamentale per salvaguardare l’esistenza stessa del nostro Pianeta.
di Toio De Savorgnani
Per decine di migliaia di anni le culture umane hanno interpretato la foresta come antagonista, luogo da cui allontanarsi ma soprattutto da eliminare, sostituendo ad essa prima la radura e poi la grande pianura, del tutto o quasi spoglia d’alberi spontanei e di ecosistemi naturali, ma addomesticata e piegata alle sempre più esigenti aspettative umane, come se solo con l’abbandono e la distruzione delle foreste si fossero create le condizioni per la nascita e lo sviluppo della cosiddetta civiltà.
Finalmente stiamo cominciando a capire che la foresta non ha alcun bisogno dell’animale umano, il quale, al contrario, senza la foresta non solo non sarebbe mai esistito, ma nemmeno potrebbe sopravvivere in futuro. Siamo però solo all’inizio di un cammino di consapevolezza e coerenza che, per ora, è ben lungi dall’essere realmente perseguito.
Per tutti quei popoli che oggi indichiamo col termine di nativi, ma che fino a non molto tempo fa declassavamo a selvaggi o primitivi, la foresta è stata ed è ancora fonte di vita: la realtà di cui dovremmo diventare però sempre più consapevoli è che la buona salute delle foreste sull’intero Pianeta non è più solo un problema per le piccole e minoritarie culture indigene, ma è un’emergenza non più evitabile per tutti gli ormai otto miliardi di umani. È una banalità continuamente ripetuta che buona parte dell’ossigeno di cui non possiamo fare a meno per sopravvivere è il prodotto secondario di quello straordinario processo chimico che avviene nelle foglie, cioè negli alberi e perciò dalle foreste, che è la fotosintesi clorofilliana? Gli alberi sono capaci di usare l’acqua, l’anidride carbonica dell’aria e la luce del sole per creare sostanza organica, ossia legno e materia viva verde; il mondo vegetale riproduce se stesso e rende possibile tutto il resto della vita.
Dovremmo imparare dalla foresta e dai suoi cicli ma non lo facciamo, anzi, ce ne allontaniamo sempre di più. Dovremmo piantare più alberi, ma invece continuiamo ad aumentare il taglio e lo sfruttamento della foreste. In questo processo di autodistruzione, di cui sempre più abitanti del Pianeta stanno prendendo coscienza, non bisogna perdere la speranza che sia ancora possibile un’inversione di tendenza e che ognuno di noi, nessuno escluso, si senta chiamato a fare la sua parte: se le foreste sono così importanti, anzitutto vanno conservate quelle già esistenti, in tutta la loro complessità, abitanti originari compresi. Ecco il motivo per cui ci stiamo impegnando per creare connessioni tra l’ancora vasta foresta amazzonica e il nostro piccolo ma emblematico Cansiglio.
L’Amazzonia è la foresta pluviale tropicale più nota e simbolica, quella che rappresenta meglio la tragedia della perdita di una straordinaria biodiversità, ma è anche il luogo delle nostre memorie ancestrali, ricordo di una umanità primordiale in equilibrio con il resto della vita visibile e invisibile. In questo contesto le culture native indios, almeno quelle sopravvissute alla violenza e alla prepotenza dell’Occidente, vanno aiutate affinché non si estinguano e possano conservare stili di vita e credenze spirituali. Ci possono insegnare molto, sono un esempio da seguire e anche le loro antiche conoscenze possono risultare sempre più utili all’Umanità intera.
La foresta del Cansiglio, demanio pubblico a cavallo tra Veneto e Friuli, terra di confine tra pianura e montagna, tra est e ovest, luogo identitario per veneti e friulani, racchiude molti motivi di grande interesse, dalla geologia all’archeologia, alla botanica, alla storia, alla selvicoltura. Non può essere considerata poco più che un grande contenitore di alberi da tagliare, bensì ne vanno messi in evidenza e conservati i valori della biodiversità.
Il Giardino Botanico Alpino in Pian del Cansiglio raccoglie circa 800 delle probabili 1500 specie di piante superiori rinvenibili nel massiccio montuoso del Cansiglio, Col Nudo Cavallo, diviso tra Veneto e Friuli, province di Belluno, Treviso e Pordenone. L’attuale gestione è dell’ente regionale Veneto Agricoltura, affiancato dai volontari dell’Associazione Naturalistica Lorenzoni, associazione di volontariato nata 30 anni fa. Il Giardino ha una funzione soprattutto didattica, con lo scopo di riuscire a comunicare ai visitatori l’importanza degli ecosistemi forestali e della grande biodiversità, sia vegetale che animale, in essi contenuta. Negli oltre due ettari del Giardino si stanno ricostruendo i molti ambienti naturali presenti nell’area, dai vari habitat delle quote più basse fino agli oltre 2.000 m dei livelli più alti, con particolare attenzione ai vari tipi di bosco: pedemontano, faggeta, pecceta, misto, lariceto e mugheta. Una particolare attenzione è dedicata alle zone umide, ai fenomeni carsici e alla flora delle rocce e dei ghiaioni di cui il gruppo del Monte Cavallo è particolarmente ricco, ma anche alle piante medicinali. Il Giardino Botanico è visitabile dall’ultima settimana di maggio alla prima di ottobre, anche su prenotazione (consigliata per i gruppi).
Per infomazioni:
info@venetoagricoltura.org | www.venetoagricvoltura.org
associazionelorenzoni@gmail.com
www.facebook.com/giardinobotanicocansiglio
di Raffaele Luise
Quel che più stupisce negli immensi labirinti d’acqua e di alberi nell’Amazzonia più intoccata e segreta – in cui mi sono immerso per quasi tre mesi, due anni fa – è la sublime e, per noi occidentali, inesplicabile armonia che lega tutte le cose, tutte le creature e quello sterminato bioma agli Indios, i circa cinquecento Popoli indigeni (compresi i Popoli Isolati) che abitano la Panamazzonia dai tempi ancestrali.
Una simbiosi affascinante e totale, che mi ha come trasportato in un altro pianeta o, chissà, nel centro più sconosciuto della piccola Terra, e che esprime plasticamente il valore inestimabile (e indispensabile, sia per la salvezza dell’umanità che della asfittica civiltà occidentale) dell’atavica sapienza indigena: sono loro, gli Indios (nemmeno un milione di persone in tutta l’Amazzonia brasiliana), i più perfetti difensori dell’immensa foresta. Un’immensa creatura (grande come quasi tutta l’Europa), sacra per gli indigeni – e non solo – che negli angoli più interni e lontani è capace addirittura di convincerti che Dio, Uomo e Mondo sono una stessa misteriosa amalgama.
Una straordinaria armonia che nell’Amazzonia tocca il suo vertice, ma che è presente a tutte le latitudini, nelle altre foreste pluviali, nelle meravigliose piccole isole che scolpiscono i mari e gli oceani e nelle meravigliose foreste che ancora impreziosiscono l’Europa, come quella del Cansiglio. Un filo ideale tra la foresta del Cansiglio e la foresta Amazzonica è stato tessuto lo scorso giugno 2023, in occasione del festival “Cansiglio inVita” – organizzato da: Università degli Studi di Padova – TESAF (Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali) e DPG (Dipartimento di Psicologia Generale), Veneto Agricoltura, Società Selvatica a cui l’Associazione “Il Mondo di Tommaso” ha dato il proprio contributo con il suo progetto – invitando lo sciamano del Popolo Mayuruna, Marcos Goncalves, il cui toccante messaggio per noi occidentali è stato: “La nostra terra è la nostra vita, non fonte di lucro”, aggiungendo subito: “L’Amazzonia non è la nostra casa esclusiva, l’Amazzonia è di tutti gli uomini del mondo”.
È infatti l’Amazzonia il punto di partenza e il modello, dove si giocano in gran parte i destini ecologici del mondo e dove la nostra attenzione deve restare massima giacché, se pure con la presidenza Lula la situazione sia migliorata rispetto alla barbarie di Bolsonaro, la deforestazione continua inarrestabile. Per cercare di fermare (e di invertire) questo attacco alla Madre Terra è necessaria una nuova visione della realtà e del mondo, e in definitiva di una nuova passione, come un ri-innamoramento della vita, dove tutto si tocca e convive.
di Michele Boato
L’Amazzonia è stata sempre vista come un territorio da sfruttare, non da salvaguardare. «Noi indigeni abbiamo sempre rappresentato l’unico ostacolo alla volontà di distruzione. Abbiamo subìto, per questo, un’occupazione e una persecuzione che continua fino a oggi», spiega Nara Barè, leader del movimento nativo dell’Alto Rio Nero. Eletta nel 2018 coordinatrice delle Organizzazioni Indigene dell’Amazzonia brasiliana, assemblea che riunisce 600 rappresentanti di tutta l’Amazzonia brasiliana ed è costituita per il 70% da uomini, è la prima donna a rappresentare 160 popoli nativi di 9 Stati brasiliani. Nara Barè nasce nello Stato brasiliano di Amazonas a 800 km da Manaus, nella regione dell’Alto Rio Nero, al confine Nord con Colombia e Venezuela, dove gli indios nativi rappresentano il 90% della popolazione. Nella regione vi sono 23 popoli, ognuno con la propria lingua.
Nara Barè e la sua comunità sono raggiungibili solo per via fluviale. In questa realtà si sviluppa, a partire dagli anni 80, il primo movimento di donne native brasiliane, con la costituzione dell’Associazione delle donne del Rio Nero, per avere rappresentanza nei processi decisionali all’interno delle comunità. «Non fu una disputa tra uomini e donne, ma il riconoscimento alle comunità indigene del Rio Nero, alla lotta delle donne e alla credibilità che ci eravamo conquistate. Essere donne indigene è oggi sinonimo di resistenza e tenacia. La nostra presenza è importante in una società che cerca di rendere invisibili i nativi. Il nostro impegno in prima fila li rende più visibili a tutto il mondo».
In Nara si sommano la forza di essere donna e quella di essere indigena. Le associazioni delle donne indigene affrontano tutte le questioni che riguardano le comunità in cui vivono: la violenza sulle donne, la gestione del territorio, la salute, l’educazione dei figli, le attività lavorative. L’artigianato è la principale attività portata avanti dalle donne, consente di ottenere un reddito di cui la comunità ha bisogno. Vengono creati pezzi e opere d’arte utilizzando i prodotti naturali della foresta. Dice Nara: «Il nostro artigianato è il simbolo della nostra cultura, del modo di vivere, delle usanze, ma sempre più spesso le donne hanno difficoltà a procurarsi il materiale nelle aree di deforestazione». Ci parla anche delle attività agricole svolte dagli uomini e dalle donne, nel rispetto dell’ambiente: «Il nostro sistema agricolo è un insieme di saperi e di pratiche agricole, di tecniche per la gestione dello spazio da coltivare in modo naturale, con una rete sociale di scambio di sementi e piante, per essere indipendenti da un punto di vista alimentare. Siamo, però, sottoposti alle forti pressioni delle attività dell’agrobusiness, che inquinano il terreno e le acque, interferendo con le nostre attività. Le donne indigene non possono più assistere alla devastazione dei loro territori e alle violenze subite dai loro uomini. Abbiamo capito che era giunto il momento di lottare insieme a loro. Abbiamo fatto comprendere ai nostri padri, fratelli e mariti che la partecipazione alle iniziative insieme ad essi avrebbe migliorato la vita di tutti. Oggi vedo molte donne indigene, anche di altre zone, che alzano la voce e rappresentano i loro popoli».
Promosso dall’Associazione “Il mondo di Tommaso“, Butterfly Effect Project in Amazzonia nasce per difendere la più grande foresta pluviale del mondo, il luogo più straordinario e importante per la difesa della vita sulla terra. C’è bisogno di difendere i popoli Indios, che ne sono da sempre abitanti e custodi. Per sostenere il progetto puoi effettuare una donazione a:
IL MONDO DI TOMMASO ODV
Banca Etica – Filiale di Treviso
IBAN: IT 76 A 05018 12000 000016680209
PAYPAL: donazioni@ilmondoditommaso.org
Per ulteriori informazioni: www.ilmondoditommaso.org
Claudio 3386213782