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Gestire i conflitti per aiutare la biodiversità

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Da sempre l’uomo sfrutta le risorse ambientali per l’agricoltura e l’allevamento. Negli ultimi quarant’anni, però, i progressi e l’innovazione in campo agrario hanno portato all’utilizzo di macchine sempre più potenti e di una chimica spinta, che hanno condotto a una semplificazione dell’ambiente agricolo, risultata devastante per molti esseri viventi che lo abitano, comportando anche importanti squilibri ambientali.

La biodinamica, custode di vita

Nelle aziende biodinamiche si coltiva in armonia con la natura, senza l’uso di prodotti chimici di sintesi, diversificando gli ambienti e migliorando il paesaggio con la realizzazione di siepi, boschetti e bordure fiorite, che garantiscono la vitalità del suolo e una florida comunità animale: non solo una moltitudine di insetti, ma anche mammiferi, uccelli, rettili e anfibi. Le buone pratiche agronomiche, abbinate alla valorizzazione della fertilità del terreno e alle lavorazioni superficiali, fanno delle aziende biodinamiche vere e proprie oasi di vita, nelle quali specie ritenute in declino trovano il loro habitat e prosperano in equilibrio.

La gestione del conflitto

La conservazione della natura in agricoltura, tuttavia, non è fatta solo di ripristini ambientali e miglioramento del paesaggio: deve passare anche attraverso la gestione dei conflitti. Infatti, è inevitabile che coltivare in maniera naturale crei dei conflitti tra l’agricoltore e specie potenzialmente dannose: molti vertebrati come uccelli e mammiferi, per esempio, possono approfittare dell’abbondanza di cibo messa loro a disposizione sia dalle coltivazioni che dell’allevamento. Il conflitto può nascere con specie come lepri, caprioli e cinghiali, tra i mammiferi, ma anche con specie di uccelli come corvidi, colombacci e passeri, che possono abbassare di molto il raccolto e di conseguenza anche il guadagno.

Nell’allevamento, in particolare, si possono subire danni dai predatori: le volpi in quello avicolo o i lupi nello zootecnico. Va comunque sottolineato che non esistono specie dannose, ma solo potenzialmente dannose: per esempio, se la lepre mangiasse una foglia di radicchio, di fatto non avrebbe creato un danno. Se, al contrario, mangiasse il 40% della coltivazione potremmo dire di aver subito un danno da fauna selvatica, da calcolare al netto dei servizi ecosistemici prodotti dalla biodiversità: va quindi commisurato al beneficio derivato in termini di ricchezza di fauna animale e vegetale.

L’importanza della prevenzione

Per poter parlare di un’agricoltura realmente sostenibile, in cui la conservazione della fauna permetta la sopravvivenza economica dell’azienda, occorre concentrare gran parte degli sforzi nella prevenzione dei danni, così da affrontare con coscienza e coerenza la gestione dei conflitti. Si tratta di un impegno importante, sia in termini di lavoro che economici, ma questa amara medicina è la strada giusta per una convivenza pacifica con la fauna selvatica, presupposto fondamentale per la convivenza tra uomo e natura. La conservazione delle biodiversità non si deve dunque fermare ai miglioramenti ambientali: deve procedere di pari passo con le strategie di prevenzione del danno e passare attraverso la gestione dei confitti, partendo da un monitoraggio della fauna che permetta all’agricoltore di poter sviluppare strategie di prevenzione, abbassando il rischio di perdita del raccolto.

di Fabio Dartora

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