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Piccoli corsi d’acqua tra sicurezza idrica e conservazione del territorio

NaturaSi-Pattaro

L’importanza della partecipazione attiva nella tutela dei piccoli corsi d’acqua per la salvaguardia del terreno e della biodiversità. Ne abbiamo parlato con l’ingegnere idraulico Alessandro Pattaro.

Innalzamento delle acque a causa del cambiamento climatico, inquinamento delle falde acquifere, ma anche squilibri nell’accesso a questa fondamentale risorsa per la Vita, spesso sprecata da chi non deve fare i conti ogni giorno con la sua mancanza. Quando parliamo di acqua sono moltissimi gli aspetti da affrontare, i quali convergono su vari livelli di una problematica globale, che riguarda tutti noi e che ha a che fare con i nostri comportamenti. Questi aspetti non riguardano solo mari, oceani e grandi fiumi, ma anche tutti quei piccoli corsi d’acqua che attraversano i nostri territori e che hanno un valore dal punto di vista paesaggistico, ambientale e di tutela della biodiversità. Questi i temi affrontati con Alessandro Pattaro, fondatore di uno dei primi studi di ingegneria idraulica  e ambientale che punta a un maggiore coinvolgimento  del cittadino, partendo dal presupposto che “se non sei parte della soluzione, allora sei parte del problema”. 

Lei si definisce un ingegnere al quadrato: che significa? E di cosa si occupa? 

Io sono laureato in ingegneria idraulica e in ingegneria per ambiti del territorio. Con il mio studio mi occupo di idraulica e ambiente, con una funzione di coordinamento e facilitazione in processi di democrazia partecipativa e in processi decisionali pubblici, che hanno la funzione  di trasformare i conflitti ambientali in politiche di tutela del territorio. In particolare, seguo dal 2002 i “Contratti  di fiume”, da quando sono stati introdotti in Lombardia  e Piemonte su ispirazione francese: questi “Contratti” sono un ottimo esempio di democrazia partecipativa,  perché si basano proprio sul coinvolgimento della  popolazione e possono arrivare fino a tavoli di discussione nazionale e internazionale. In particolare, io ho seguito  direttamente i tavoli che riguardano i piccoli corsi d’acqua di risorgiva nella bassa e media pianura veneta. 

Quali sono le caratteristiche di questi contratti di fiume? 

I contratti di fiume sono contraddistinti dal fatto di essere processi partecipativi volontari, finalizzati al miglioramento delle componenti ambientali dei fiumi del territorio. 

Nel tempo, in Italia, si sono evoluti passando dall’impostazione francese, più concertativa che partecipativa, fino a diventare processi sempre più aperti ai diversi portatori d’interesse: dalle associazioni ambientaliste fino a pescatori e agricoltori; dai consorzi di bonifica alla qualità delle acque, fino ai fruitori dei beni collettivi (ciclisti o semplici cittadini che si vogliono godere una passeggiata).

Come nasce un contratto di fiume? 

Innanzitutto, occorre qualcuno che funga da catalizzatore; c’è bisogno di fondi e di requisiti qualitativi minimi – definiti nel 2015 da Ministero dell’Ambiente, Ispra e Tavolo Nazionale Contratti di Fiume – per creare un processo partecipativo. Servono degli attori che decidano insieme di organizzarsi per tutelare le componenti ambientali di beni collettivi come laghi, falde, fiumi, fossi e tutti i corpi idrici. Viene quindi costituito un primo comitato promotore, che redige un manifesto degli intenti contenente gli obiettivi di massima di questo processo: questa è la prima fase del Contratto. Segue la Condivisione della conoscenza, in cui si individuano i temi che la comunità reputa importanti: di cosa vorremmo parlare in questo processo? Di sicurezza idraulica? Di qualità delle acque? Della fruizione condivisa di questo bene collettivo? In questa fase si affiancano due punti di vista: oltre a condividere la percezione da parte della comunità riguardo a un tema specifico, viene anche convocato un esperto che redige un report tecnico; viene stilato, poi, un unico documento che tiene conto di entrambe le posizioni. A questo punto, seguono la Condivisione degli obiettivi strategici per il futuro, il programma d’azione e la sottoscrizione del Programma d’azione. Il contratto si conclude, infine, con una fase esecutiva gestita dall’assemblea, che monitora i progressi nel raggiungimento dell’obiettivo.

Quali sono i principali ostacoli nella  realizzazione degli obiettivi che sono stati prefissati?

Talvolta i processi si arenano a causa di amministrazioni poco lungimiranti oppure di una cattiva gestione. Un altro problema è legato alla necessità di far concludere il processo nei tempi previsti, senza dilungarsi troppo, poiché ciò demotiva i partecipanti al processo. Se non si danno tempi e ruoli certi nei processi, c’è il rischio  che decada tutto.

Quali sono le principali criticità legate ai nostri corsi d’acqua? 

Dipende delle componenti che vogliamo considerare. Per esempio, ci sono delle criticità per quanto riguarda la sicurezza idraulica, perché non sono stati fatti interventi per mettere in sicurezza il territorio, sia per quanto riguarda i corsi d’acqua principali ma anche la rete minore. Accanto a queste, vi sono anche criticità ambientali legate alla qualità delle acque: è davvero difficile trovare corsi d’acqua in buono stato dal punto di vista qualitativo. In genere, possiamo individuare questi aspetti: sicurezza idraulica, qualità dell’acqua, fruizione condivisa del territorio (con corsi d’acqua disseminati di cancelli e recinzioni spesso abusivi) fino alla tutela della biodiversità. Centrale è anche il tema della gestione del rapporto tra fiume e popolazione, perché spesso ci dimentichiamo che l’ambiente di fiume non esiste in funzione del nostro interesse ma dev’essere salvaguardato in quanto habitat. Dobbiamo, infatti, distinguere tra il paesaggio naturale e il paesaggio che si è venuto a creare a seguito di un intervento umano sull’ambiente del fiume. 

Tra le sue battaglie quella, per esempio, in difesa dei fossi… 

Sì, nella zona di Mestre (Venezia) i fossi sono praticamente scomparsi su tutto il territorio urbano, fatta eccezione  per qualche piccola area. Noi siamo intervenuti con un manifesto che recita: “Questo fosso non si poteva interrare? A chi serve?” “Serve a tutti, serve anche a te” per sensibilizzare l’opinione pubblica, combattendo il pregiudizio che vede il fosso come un accessorio sgradevole, habitat di pantegane e fonte di spiacevoli odori, quando invece – oltre a far parte della geografia interiore del Veneto – è anche un importante presidio di sicurezza idraulica, di biodiversità e di fitodepurazione. I frequenti fenomeni di allagamento, dovuti a una rete idraulica che non è in grado di ricevere i deflussi, sono fortemente legati a un’omologazione del paesaggio, che porta a eliminare tutto ciò che lo caratterizza in favore di un territorio  molto urbanizzato e antropizzato, che dovrebbe essere gestito con grande attenzione.

Ascolta Alessandro Pattaro anche su Laboratorio 2050, il podcast di NaturaSì, disponibile su Spotify, Apple Podcast e Google Podcasts

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